“Il destino mescola le carte e noi giochiamo”. Le parole del filosofo Arthur Schopenhauer descrivono bene quanto possa essere imprevedibile la vita.
Ne ha avuto dimostrazione anche Michela Carpentieri, 28 anni, allieva della seconda edizione di Chef IN Formazione.
Alla fine del Liceo Scientifico l’idea della laurea non la entusiasmava, così quando arriva la possibilità di lavorare in fabbrica come magazziniere la coglie.
Così son passati sette anni, tra il lavoro e le trasmissioni tv di cucina che le davano lo stimolo a mettersi ai fornelli durante il fine settimana.
“Più passava il tempo e più cresceva la voglia di cambiare lavoro, ma sono una con i piedi per terra. La cucina c’è sempre stata nella mia vita, più che altro mi è sempre piaciuto mangiare, di conseguenza ho cominciato a mettere le mani in pasta. In casa cucinavano tutti, in primis mia mamma e mia nonna, era qualcosa di naturale”.
In Cibum arriva accendendo un desiderio, come una possibilità di cambiare il corso delle cose.
“Ero tra le più grandi del mio corso ed ero anche quella più all’asciutto, non avendo frequentato un istituto alberghiero. Ma ho trovato un clima molto positivo, il percorso formativo mi è piaciuto davvero molto. Lo chef resident Marco Cefalo è bravissimo, se non capivamo qualcosa era disposto a ripeterla anche cento volte!”.
Quanto sei cambiata dall’inizio del percorso a In Cibum ad oggi?
“Quando sono entrata avevo tanti dubbi, quando ho finito il corso continuavo ad averli, ma poi con lo stage mi sono resa conto di poter fare questo lavoro e di sopportare i ritmi della cucina. L’esperienza è importante per acquisire un minimo di sicurezza che prima non puoi avere. Il corso ad In Cibum mi è piaciuto molto, le lezioni che più ho amato sono state quelle con lo chef Giuseppe Iannotti, ho ritrovato nel lavoro quotidiano molte delle cose che lui ci raccontava. Gli incontri fatti durante quel periodo sono stati tanti e tutti importanti: da Gennaro Esposito a Moreno Cedroni, sono poi passata a fare uno stage dallo chef stellato Nino Rossi in Calabria. Senza avere alcuna esperienza mi sono ritrovata in una realtà incredibile!”.
Ma il periodo dello stage è coinciso con il nostro primo lockdown…
“Purtroppo si, ma non sono rientrata perché per un po’ mi sono fermata a casa dello chef, una persona generosa e disponibile, poi abbiamo cominciato a lavorare ad una sua nuova idea. Mi sono trovata benissimo, ma non è stato semplice all’inizio, ho proprio dovuto abituarmi ai ritmi lavorativi”.
Ma nonostante tutto, è stato un anno di lavoro!
“E chi lo avrebbe mai detto! Sono rientrata a giugno a casa e dopo un mesetto ho trovato lavoro al ristorante Cetaria a Baronissi, vicino a casa per giunta, con lo chef Salvatore Avallone. Ha senz’altro influito il fatto che io avessi fatto esperienza in una cucina stellata e così da settembre lavoro al suo fianco. Il Covid ha avuto un impatto violento sulla mia vita, pensavo che finita la scuola avrei potuto cominciare il mio percorso, ed invece ho dovuto fare i conti con lui e con la sua influenza sulle nostre vite, ma passerà e mi reputo fortunata per essere comunque riuscita a lavorare anche in questo periodo. Ma tutti continueremo a mangiare e ad andare al ristorante, è solo un momento difficile, sono fiduciosa”.
Ci sono chef che ti hanno ispirata?
“Quelli con cui ho avuto modo di lavorare e conoscere da vicino. Ricordo affascinata la lezione dello chef Giuseppe Iannotti sul Giappone, il suo amore per la cultura asiatica è grande, abbiamo fatto un piccolo viaggio restando in aula. Ma, in generale, mi hanno ispirata gli chef con cui ho lavorato e sto lavorando, sono loro che tutti i giorni mi insegnano davvero il mestiere. I miei riferimenti al momento sono lo chef Nino Rossi e lo chef Salvatore Avallone”.
Hai uno stile a cui ti ispiri quando cucini?
“Per me è ancora presto parlare di stile di cucina, mi appassiona la cucina tradizionale ma certamente alleggerita e più lineare, valorizzare le materie prime e il territorio…Questi sono i miei punti di partenza, ma coltivo anche l’idea di fare un’esperienza all’estero, magari proprio in Giappone, per avere la possibilità di confrontarmi con altre culture”.
Il tuo sogno nel cassetto?
“Aprire un ristorante tutto mio, ma so che devo ancora crescere e capire cosa mi piace davvero cucinare!”.
Cosa diresti a chi vuol fare questo mestiere?
“Che bisogna essere disposti a dedicare gran parte della giornata al lavoro, è un mestiere che non ti permette di avere tanto tempo libero. La cucina non è fatta di urla e scenate, come fanno vedere in tv, la cucina è tutt’altro: soprattutto rispetto e rigore. Si parla degli errori fatti senza lanciarsi oggetti, in tv si crea un’idea sbagliata della cucina. Lo ribadisco soprattutto perché io stessa, prima di avvicinarmi alla cucina professionale, amavo molto guardare le trasmissioni di cucina e immaginavo altro. È importante avere una cultura culinaria ampia, io non avevo la manualità che avevano dei miei colleghi, ma studiare aiuta molto. È importante apprendere prima la teoria, ti regala un approccio diverso quando vai alla pratica. Perché in cucina ha un grande peso la parte concettuale, che spesso viene sottovalutata. Dietro un piatto il pensiero è fondamentale, poi saperlo fare è un’altra cosa. Credo valga quasi di più…”.