Ci sono piatti che non si imparano: si ereditano. Hanno il profumo dell’infanzia, il suono delle voci care, il sapore dei pranzi di festa. Gli allievi dell’Accademia In Cibum, guidati dal giornalista televisivo Giuseppe Calabrese (in arte Peppone), li hanno raccontati così: con mani esperte e cuori aperti.
Hanno riscoperto ricordi e cucinato emozioni. Ognuno ha portato in aula un pezzo della propria storia trasformandola in un piatto. E noi ve li raccontiamo uno per uno…
Andrea Albano – ’O ruot ’o furn
Un ruoto, una Pasqua, una famiglia infinita.
Andrea ci racconta il suo piatto attraverso una festa: la Pasqua in casa dei nonni. Una casa troppo piccola per contenere oltre 40 persone, ma perfetta per riempirsi d’amore. Il profumo del capretto invade tutto l’edificio, zia Gabriella detta i ritmi della sala, i cugini fanno disastri e la nonna tiene tutti in riga. Ma in cucina comanda nonno Ignazio: un metro e cinquanta di cuore, mani esperte, e il suo leggendario capretto al forno con le patate. È lui che accende in Andrea la passione per la cucina, il “gigante buono” che lo autorizza a varcare il confine sacro dei fornelli.
La ricetta di nonno Ignazio è quella del capretto “’o ruot ’o furn”: spalla di capretto infarinata, rosolata con sugna e olio, insaporita con cipolle di tre varietà, guanciale, pomodori del piennolo, aromi mediterranei e cotta lentamente in forno, fino a fondersi con le patate e creare una crosta irresistibile.
La rivisitazione di Andrea si chiama “Gnocchetto dei ricordi”: gnocchi di patate alle erbe su crema di formaggio stagionato, straccetti di capretto in umido, olio al carbone vegetale e cipolla fritta. Il gusto dell’infanzia vestito da piatto da ristorante.


Antonio Napolano – Pasta e fagioli con le cotiche
Un grembiule dal passato e la minestra che scalda l’anima.
Per Antonio, questo piatto è legato a un gesto. Suo nonno, anni prima che lui pensasse di diventare cuoco, gli regalò un grembiule. Quel gesto profetico oggi prende forma in una pasta e fagioli che è più che un piatto: è un rituale di famiglia. Ogni mercoledì, mentre si sbucciano fagioli spollichini nel cortile, si preparano le basi per un pasto che unisce generazioni.
La versione tradizionale è “azzeccosa” come vuole la scuola napoletana: pasta mista (la cosiddetta “munnezzaglia”) cotta direttamente con i fagioli e le cotiche, per un risultato cremoso e intenso. Piatto umile, ma profondamente identitario.
La rivisitazione è poetica e visiva: un lingotto di crema di fagioli racchiude le radici del piatto. Intorno: verdure arrostite, cipolla in agrodolce, cotica soffiata. Si chiama “Dalla campagna alla nobiltà” e racconta come anche la cucina povera possa diventare regale.


Emanuele Vervesca – Pasta alla Siciliana
Radici sicule, riflessioni napoletane e un padre che osserva.
Emanuele lega la sua storia alla voce del padre che lo interroga: “Com’è fatta la siciliana?”. È il modo che ha per dimostrargli amore, per proteggerlo anche a distanza. A ogni risposta, Emanuele riafferma la sua identità. La pasta alla Siciliana diventa simbolo di connessione tra presente e passato, tra Napoli e Sicilia.
Il piatto originario è fatto con melanzane fritte, pomodoro fresco, fior di latte e basilico, poi ripassato al forno. Richiama la Norma ma ha un’anima familiare più intima, più raccolta.
“San Paulu”, la rivisitazione, è una dichiarazione di stile e tecnica: fettuccine mantecate in pecorino con gamberi, olio alla rucola, polvere di melanzane e ricotta salata. Accanto, un raviolo ripieno di ricotta con salsa rosa e formaggio ragusano. Ogni elemento è un messaggio d’amore, ogni sapore un dialogo interiore.


Filomena Vecchio – Hello! Beans, chewing gum
Una razione K, un nonno soldato e la cucina che consola.
Il nonno la incantava con racconti della guerra e degli americani. “HELLO! Beans, chewing gum!”, diceva per farle ridere. E Filomena, da adulta, costruisce un piatto che intreccia il ricordo delle razioni militari con la pasta e fagioli della nonna. Non più solo zuppa: è memoria attiva, che si rinnova nel piatto.
Il piatto tradizionale nasce con ingredienti poveri e gesti precisi: fagioli scuri, pomodori, sedano, e pasta fatta a mano, “a occhio”. Il segreto era uno solo: “più fagioli che pasta”.
La rivisitazione è un’opera d’arte sensoriale: mal tagliati in farina cotta al sedano e peperoncino, crema di fagioli con brodo ridotto, fava tonka in infusione, chewing gum di menta come elemento di rottura e affetto. Si chiama “Hello! Beans, chewing gum…” e ha il sapore del tempo che ritorna.


Lucia Cefariello – Casatiello
L’abbraccio della nonna in un panetto di pasta e formaggio.
Lucia sceglie il Casatiello, piatto-simbolo della Pasqua napoletana, perché rappresenta l’origine e la destinazione del suo percorso. L’impasto profuma di strutto, di mani affettuose, di preghiere sussurrate. Prepararlo è un rito, con una sacralità familiare che si rinnova ogni anno.
Il piatto tradizionale è quello classico: impasto lievitato con strutto, salumi e formaggi, uova in superficie a simboleggiare la rinascita.
La rivisitazione è sorprendente: piccoli baozi ripieni di casatiello, cotti al vapore o saltati. La forma cambia, ma il cuore resta lo stesso. È un abbraccio che attraversa le culture e le generazioni.


Mario De Clemente – Strascinati con peperone crusco e mollica
Basilicata nel cuore, domeniche con mamma e ravioli tra le mani.
La cucina di Mario nasce tra la farina e i giochi con la mamma. Gli strascinati li prepara con le dita, “strascinando” la pasta sulla spianatoia. Il peperone crusco, croccante come un ricordo nitido, e la mollica di pane fritta sono l’essenza della sua terra.
Il piatto originale è il più lucano che ci sia: strascinati fatti a mano, conditi con mollica fritta e peperoni cruschi velocemente passati in olio caldo.
La rivisitazione prende forma nei Ravioli dal passato: pasta bicolore, ripiena di mollica croccante, ricotta e peperone crusco. Unisce il comfort della domenica con il rigore della tecnica.


Rosa Roccasalva – Pasta al forno
Una teglia come un album di famiglia.
Per Rosa, la pasta al forno è un giorno felice. Bastava che il cielo fosse sereno per mettersi tutti attorno a un tavolo a tagliare verdure, spezzettare basilico, assaggiare besciamella. L’attesa davanti al forno era una tortura, ma ne valeva sempre la pena. Oggi prepara lei la teglia, e la sua mamma le dice: “Ti viene meglio della mia” — anche se Rosa non ci crederà mai.
Il piatto classico è una sinfonia napoletana: rigatoni con ragù, besciamella, polpettine fritte, provola, ricotta, basilico. Con un pezzo d’angolo come trofeo.
La rivisitazione è raffinata: rigatone ripieno di mousse, tartare di manzo, cialda croccante di provola, gel di basilico e ragù in etamine. Un piatto che celebra la pasta al forno come si celebra un’opera d’arte.


Simone Vacchiano – ‘A mmenesta maritata
Pino Daniele in sottofondo, la minestra sul fuoco, i nonni che si punzecchiano.
Simone racconta la minestra maritata come una sinfonia d’inverno. Le verdure amare, le carni povere, il pane raffermo inzuppato nel brodo: ogni elemento è carico di memoria. È un piatto che “non si prepara, si custodisce”.
La ricetta tradizionale è quella delle feste natalizie: cicoria, scarola, verza e spinaci, cotti con tracchie, gallinella, cotiche e tacchino in un brodo che profuma di pazienza e amore.
La rivisitazione è concettuale: Metamorfosi, aspic di verdure e carne con crema di pecorino, chips di cotenna e gel di uva. Un omaggio a Kafka e a Napoli, una riflessione su identità e trasformazione.


La memoria è un ingrediente invisibile, ma fondamentale
In questi piatti c’è tutta la verità della cucina: le mani che impastano per amore, le voci attorno alla tavola, il desiderio di fermare il tempo con un boccone. I nostri allievi hanno trasformato emozioni in tecnica, tradizioni in innovazione. E ci hanno dimostrato che il futuro della cucina parte da ciò che siamo stati.